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Giu 13

Lucio Dalla ed il mare


Sono passati dieci anni da quando Lucio Dalla ci ha salutato e si trova nel profondo blu. Su di lui si sono scritte infinite parole. Noi vogliamo raccontarvi un piccolo particolare della sua vita: il ruolo che il mare ha avuto nel percorso di questo musicista. Ve lo presentiamo utilizzando tre sue canzoni.

Incominciamo con Itaca, una canzone del 1972. Dalla è un musicista trentenne, non più un semplice promettente ma ancora non del tutto maturo: ha già vinto Sanremo nel 1971 con il famoso brano 4/03/1943 ma ancora scrive i suoi testi servendosi delle parole di altri e in questo periodo si affida ai parolieri Bardotti e Baldazzi e più avanti farà riferimento al poeta Roberto Roversi[1].

In questa fase della sua vita, Lucio desidera non solo esprimere fantasie attraverso la sua musica, ma anche raccontare le difficoltà degli italiani degli anni Settanta. Gli “anni di piombo”, come alcuni di voi ricorderanno, sono stati contrassegnati da una vivace attività economica, dalla diffusione delle idee del 68’ americano, con le sue luci e le sue ombre, e da pericolosi attentati. Questo periodo, così intenso e frammentato, inizia proprio a Bologna con la famosa strage di Fontana, avvenuta il 12 dicembre del 1969.

Ebbene, Itaca vuole descrivere il rapporto tra operai ed industriali, per stessa ammissione dell’artista. La canzone si rifá al mito di Ulisse, il più astuto tra gli eroi greci, il quale alla fine della guerra di Troia deve ritornare alla sua isola. Il mito di Omero è tutto incentrato sull’eroe, invece la canzone di Dalla dà voce ad uno dei suoi marinai. Nelle prime due strofe, l’anonimo sottoposto mette in evidenza tutte le differenze tra la vita dell’uomo al comando e quella di chi sta ai remi: il capitano ha uno sguardo sul futuro glorioso per il quale corre rischi notevoli (hai negli occhi il nobile destino), il rematore vede invece le difficoltà quotidiane (manca pane e vino); le scelte che Ulisse decide di compiere ricadono sul futuro dei suoi rematori, invece gli errori del marinaio al massimo fanno sorridere (Capitano, le tue colpe/ Pago anch’io coi giorni miei./ Mentre il mio più gran peccato/ Fa sorridere gli dei). Ma nella terza strofa il tono del marinaio cambia improvvisamente: dalla paura, passa al coraggio, e dalla contrapposizione contro Ulisse, si decide per un accordo con lui (Ma anche la paura in fondo/ Mi dà sempre un gusto strano/ Se ci fosse ancora mondo/ Sono pronto, dove andiamo?). In questa canzone dunque il mare non è che una metafora. Esso rappresenta tutte le difficoltà e i rischi del fare impresa, problemi che potrebbero essere superati, ma solo unendo le forze.

Con la seconda canzone passiamo alla piena maturità di Dalla. Stiamo parlando di Com’è profondo il mare che Lucio scrive nel 1977. Il nostro musicista ha da poco deciso di non lavorare più con Roversi, ma non ha idea di come scrivere una canzone completamente da solo ed entra in crisi. Per cercare la giusta ispirazione decide di isolarsi in un luogo spettacolare: le isole Tremiti, un piccolo arcipelago di incredibile bellezza, che ancora oggi nasconde tesori ma che richiede ai suoi abitanti la capacità di apprezzare la solitudine[2]. La vita sulle isole segna profondamente Lucio Dalla il quale si è poi sempre dichiarato profondamente legato a questi luoghi[3].

In Com’è profondo il mare il mare rappresenta la natura umana nella sua essenza, segnata dal bisogno, dalla paura ma anche dalla necessità di cooperare. La canzone racconta di come nel cuore dell’uomo possa talvolta prevalere la brama del potere per il potere e descrive le conseguenze di tale logica. Prima di tutto il potere divide le persone, ( Non c’è più lavoro/ Non c’è più decoro/ Dio o chi per lui/ Sta cercando di dividerci ) e sul momento pare garantire il paradiso sulla terra (Con la forza di un ricatto/ L’uomo diventò qualcuno/ Resuscitò anche i morti/ Spalancò prigioni) ma in realtà divora chi innalza (Innalzò per un attimo il povero/ Ad un ruolo difficile da mantenere/ Poi lo lasciò cadere/ A piangere e a urlare/ Solo in mezzo al mare). Segue una guerra inutilmente violenta, come quella che anche adesso stiamo sperimentando. Solo un ritorno alla nostra umanità originale, ci permetterà di fermarci (Intanto un mistico/ Forse un aviatore/ Inventò la commozione/ Che rimise d’accordo tutti/ I belli con i brutti). Lucio Dalla, però, conclude molto amaramente che la commozione sul momento può essere sufficiente a un disarmo, ma non garantisce la pace, in quanto è necessario che cambi il pensiero di chi sta al potere: Chi comanda/ Non è disposto a fare distinzioni poetiche/ Il pensiero come l’oceano/ Non lo puoi bloccare/ Non lo puoi recintare/ Così stanno bruciando il mare/ Così stanno uccidendo il mare/ Così stanno umiliando il mare/ Così stanno piegando il mare. Questa canzone amara mette a nudo il rischio reale della politica e le responsabilità che essa ha davanti al mondo.

Ma concludiamo con un po’ di tenerezza. L’ultima canzone di Dalla che vogliamo ricordare è Caruso, incisa nel 1986. Anche questa estremamente nota, nasce da una coincidenza assolutamente non progettata, legata anche questa al mare. È Lucio Dalla stesso a raccontarlo in un’intervista[1]: stava navigando vicino a Sorrento, quando la sua nave si rompe. Chiede, quindi, ad un amico, proprietario di un albergo, di ospitarlo per una notte. Arrivato nella stanza, Lucio Dalla scopre che proprio in quella suite aveva vissuto Enrico Caruso, grande tenore lirico, negli ultimi giorni della sua vita.

Il testo della canzone racconta l’amore che legò una ragazza del posto e il cantante ed è un sorprendente canto di ringraziamento alla vita: Sentì il dolore nella musica,/ Si alzò dal pianoforte/ Ma quando vide la luna uscire da una nuvola/ Gli sembrò più dolce anche la morte. La morte ci separa dai nostri cari (Guardò negli occhi la ragazza,/Quelli occhi verdi come il mare/ Poi all’improvviso uscì una lacrima,/E lui credette di affogare) e ci porta a considerare meno importanti tutti i nostri più grandi successi professionali (Ma due occhi che ti guardano/ Così vicini e veri/ Ti fan scordare le parole,/ Confondono i pensieri/ Così diventa tutto piccolo). Tuttavia è proprio in un momento così grave che si vede la misura di un’anima: il tenore Caruso scelse di cantare fino all’ultimo respiro, non per la fama, ma per l’amore di chi amava. Il suo ultimo canto fu dunque l’espressione di un amore infinito (Ma sì, è la vita che finisce,/ Ma lui non ci pensò poi tanto/ Anzi si sentiva già felice,/ E ricominciò il suo canto/ Te voglio bene assaje,/ Ma tanto tanto bene sai/ è una catena ormai, /Che scioglie il sangue dint’ ‘e ‘vvene sai).


[1] Quest’ultimo avrà un’influenza notevole su Dalla, come egli stesso racconterà anni dopo ad un’intervista del 2008 con la Rai https://www.youtube.com/watch?v=7co2rZvYMOA

[2] Vi segnaliamo un bel documentario sulla vita quotidiana degli asolani di oggi: https://www.youtube.com/watch?v=yyiszszasEk

[3] Altra intervista a Lucio Dalla con le immagini delle isole Tremiti https://www.youtube.com/watch?v=58qjPiRBeCU

[4] Il riferimento qui è all’ “intervista barbarica” del 28 novembre 2008 (a partire dal minuto 6:25’) https://www.youtube.com/watch?v=m5GAV3iC4Pw

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